Ciao a tutti, oggi vorrei condividere con voi un altro tema che è stato toccato nell’ambito dell’ultimo simposio a cui ho partecipato, “La gestione della relazione terapeutica attraverso casi clinici”: si è parlato di come a volte ci si immagini lo psicoterapeuta.
Vengo subito al sodo: a volte le persone immaginano lo psicoterapeuta come una santo!
Questo accade sia ai pazienti ma, strano a credersi, anche ai terapeuti stessi.
Perché dei santi?
Perché si tende a credere che il paziente sia una creatura fragile e vulnerabile e che è compito dello psicoterapeuta amarlo e proteggerlo a tutti i costi.
Ma stanno proprio così le cose?
Vi racconto un episodio vissuto in prima persona e poi proverò a rispondere a questa domanda.
Alcuni anni fa, quando ero ancora agli inizi della mia professione arriva da me un paziente che sostiene di stare molto male ma che non riesce a spiegarmi né cosa sente né il motivo. Lo vedo tre volte, in cui cerco di conoscerlo e di capire il suo problema. Dopodiché mi telefona per comunicarmi che vuole interrompere le sedute. Rispondo da prassi che è libero di interrompere le sedute quando vuole e gli chiedo il motivo. A quel punto comincia ad urlarmi di tutto, chiaramente furioso con me. Mi accusa di non sapere fare il mio lavoro, di non averlo saputo aiutare, di essermi approfittata di lui (per esempio mi dice che con i suoi soldi io mi sono pagata la macchina, la casa e le vacanze), mi dice che il mio non è un lavoro ma una missione e quindi non dovrei chiedere soldi ai pazienti e soprattutto non avrei dovuto chiederli a lui perché avrei dovuto capire il suo problema e aiutarlo senza chiedere nulla in cambio.
Io tento in tutti i modi di calmarlo, di abbassare i toni, di capire la sua situazione e il suo stato d’animo e di mettermi a sua disposizione. Provo di tutto e cerco di convincerlo a parlarne di persona con più calma mentre lui continua ad urlare e attaccarmi per una buona mezz’ora finché non mi dice che ci saremmo rivisti in seduta. La seduta però è andata allo stesso modo se non peggio e alla fine il paziente se ne è andato senza che io riuscissi a proferire parola.
Questo caso dimostra chiaramente che sia il paziente che io stessa avessimo in mente che dovessi essere una santa e comportarmi come tale. Lui lo ha espresso chiaramente dicendomi che avrei dovuto aiutarlo senza chiedergli nulla, solo per carità cristiana e io perché ho subito tutti i suoi attacchi e accuse senza minimamente rispondere, anzi cercando solo di comprendere e giustificarlo sull’onda del mio senso di colpa.
Questo caso dimostra anche che ci siamo sbagliati entrambi perché io non sono una santa, sono una persona che cerca di fare il suo lavoro al meglio delle sue possibilità e sono un essere umano che come ogni altro essere umano prova delle emozioni. E queste emozioni possono essere anche rabbia e frustrazione, che infatti in quella circostanza ho sentito fortissime ma che ho represso in ogni modo credendo che non mi fosse concesso sentirle perché il mio scopo era amare e proteggere il paziente.
Col tempo e l’esperienza si impara questa lezione:
- gli psicoterapeuti non sono dei santi e non sono votati al martirio;
- gli psicoterapeuti sono delle persone che hanno scelto una professione che ha come scopo l’aiuto e la cura dell’altro, non di amarlo e proteggerlo a tutti i costi;
- gli psicoterapeuti sono esseri umani e provano emozioni come chiunque altro.
Di conseguenza per svolgere un buon lavoro gli psicoterapeuti non dovrebbero pretendere troppo da sé stessi, non dovrebbero avere aspettative troppo alte su di sé e sugli altri, non dovrebbero reprimere ciò che pensano e sentono ma esprimerlo e condividerlo con i pazienti e dovrebbero ricordarsi della propria condizione umana e fallibilità. Dovrebbero anche imparare che i pazienti alle volte non sono poi così fragili e vulnerabili ma possono essere dei lupi travestiti da agnelli che di tanto in tanto riversano tutta la loro rabbia e aggressività. Per svolgere bene questa professione quindi non bisogna aspirare ad essere dei terapeuti perfetti ma imparare a gestire le proprie emozioni tanto quanto quelle del paziente. Questa consapevolezza rispetto a ciò che può accadere nella relazione tra terapeuta e paziente è sicuramente un’indicazione saggia e utile per tutti.
A presto con un nuovo post e … RESTATE CONNESSI!